Ciclo idrologico o ciclo dell'acqua
Ciclo idrologico o ciclo dell'acqua

Il sistema climatico planetario comprende oltre all'atmosfera anche la idrosfera, la criosfera (ghiaccio e neve), la litosfera e la biosfera, intesa quest'ultima come l’insieme degli esseri viventi e della vegetazione. Tutti questi componenti hanno un ruolo preciso nel determinare il clima della Terra, ma è soprattutto la idrosfera, cioè l'insieme dell'acqua presente sul pianeta, che svolge un ruolo fondamentale contribuendo ad accumulare e a ridistribuire il calore fornito dal sole. L'acqua allo stato libero, cioè non legata chimicamente ad altri elementi, si presenta in natura sotto forma solida, liquida e gassosa. Le principali sedi di residenza dell’acqua allo stato libero sono:

1) Oceani e mari che formano oltre il 97% dell'acqua presente sul pianeta;
2) Ghiacci dell'Antartide e della Groenlandia con circa il 2,4% dell’acqua;
3) In superficie e nel sottosuolo terrestre si raccoglie e scorre il restante 1%.
4) Nell'atmosfera terrestre, sotto forma di vapore, è contenuto soltanto lo 0,03%.

La quantità di acqua presente sulla superficie e nel sottosuolo terrestre unita a quella contenuta nell’atmosfera sottoforma di vapore consente la vita di ogni specie animale e vegetale sulle terre emerse.
L’irraggiamento solare è il principale responsabile del cambiamento di stato dell’elemento acqua e del suo trasferimento da una sede di residenza all’altra.
La radiazione solare provoca un aumento della temperatura sul globo terrestre che da luogo alla trasformazione del ghiaccio in acqua e dell’acqua in vapore acqueo.
L’aumento disomogeneo della temperatura, superiore all’equatore e minore ai poli, provoca una differenza di densità fra le masse di acqua o di aria determinandone come conseguenza il movimento. In base alle zone di transito o di arrivo delle diverse masse d’aria si potranno verificare le trasformazioni di stato del vapore acqueo in esse contenuto sottoforma di precipitazione piovosa, grandigena o nevosa.
Pur essendoci continue trasformazioni dell’acqua da uno stato fisico all'altro e trasferimenti da una sede di residenza all'altra la sua distribuzione sul pianeta, nelle percentuali medie sopra citate valutate su tempi sufficientemente lunghi da poter caratterizzare il clima, non sembra aver subito modifiche nel corso delle ere geologiche e in particolare nell'ultimo milione di anni nonostante si siano avvicendati periodi glaciali e interglaciali.
La distribuzione attuale può essere senz’altro fatta risalire a circa 10.000 anni fa, quando il pianeta si è assestato su una fase climatica calda, e si può anche affermare che si è stabilito un equilibrio dinamico che ha dato luogo a trasferimenti, da uno stato all’altro, su tempi così lunghi che le quantità in giuoco nei vari passaggi tendono ad equilibrarsi.
L’insieme dei flussi che trasportano l’acqua da un luogo di residenza all’altro e le trasformazioni da uno stato fisico all’altro prendono il nome di Ciclo Idrologico o più comunemente Ciclo dell’Acqua.

Il Ciclo Idrologico può essere schematizzato nel seguente modo:

1) per effetto dell'evaporazione (che è il trasferimento diretto dall'acqua allo stato liquido a quello di vapore), dell'evapotraspirazione (emissione di vapore in aria per i cicli metabolici delle piante) e della sublimazione (trasferimento diretto dell'acqua dallo stato solido a quello di vapore) si ha un passaggio di acqua dalla superficie terrestre in atmosfera.

2) una volta che è residente in atmosfera il vapore acqueo, contenuto nelle masse di aria in movimento, viene trasportato in regioni diverse da quelle in cui si è prodotto ed in particolari condizioni può condensare dando luogo alla formazione di corpi nuvolosi.

3) i corpi nuvolosi, in particolari condizioni, danno origine alle precipitazioni allo stato liquido oppure solido. In questo modo il Ciclo Ideologico si chiude ridando alla terra il vapore acqueo sottratto per evaporazione, evapotraspirazione o sublimazione.

Condensazione. E' il processo per cui il vapor d'acqua, risalendo di quota nell'atmosfera trasportato dalle correnti ascensionali, si raffredda e quindi si ritrasforma in liquido.

Intercettazione. E' il processo per cui le precipitazioni non raggiungono il suolo perché durante la loro discesa incontrano degli ostacoli, per esempio le piante, gli alberi e gli edifici di un agglomerato urbano.

Precipitazione. E' il termine usato per descrivere l'acqua che cade sulla superficie terrestre dall'atmosfera ed in base al suo stato si parla di pioggia, grandine, neve o nevischio e nebbia.

Acque di superficie. Sono le masse di acqua che scorrono dalle zone più alte in direzione di quelle più basse andando a formare i fiumi, i ruscelli, i bacini ed i laghi.

Flussi di superficie. La precipitazione piovosa, raggiungendo un terreno già saturo di acqua, non riesce ad infiltrarsi ed inizia a scorrere in superficie causando a volte le innondazioni.

Flussi sotterranei. Una parte della precipitazione caduta si infiltra nel sottosuolo e fermandosi solo dopo aver incontrato uno strato di materiale impermeabile inizia a scorrere verso il basso e se raggiunge un bacino di acque di superficie si unisce ad esso.

Infiltrazione. E’ la parte delle precipitazioni che non viene intercettata, non evapora ma penetra nel suolo.

Vapor d'acqua. E' la parte dell’acqua di superficie oppure dell’acqua di mare trasformata allo stato gassoso dal calore del sole.

Evaporazione. Il calore emesso dal Sole raggiunge e riscalda l'acqua di superficie o l’acqua di mare trasformandola in vapore d'acqua che andrà a mescolarsi in una massa di aria.


Riserva Volume
(106 km³)
Percentuale
del totale
Oceani 1370 97,25
Ghiacciai 29 2,05
Acque sotterranee 9,5 0,68
Laghi 0,125 0,01
Umidità del suolo 0,065 0,005
Atmosfera 0,013 0,001
Corsi d'acqua 0,0017 0,0001
Biosfera 0,0006 0,00004
da Wikipedia

Se invece di considerare  gli andamenti globali del ciclo idrologico si volesse valutare il bilancio idrico in una colonna di atmosfera di sezione unitaria occorre tenere presente i seguenti processi:

1) Apporto di vapore acqueo in atmosfera per l’evaporazione dalle acque di superficie, per l’evapotraspirazione dalla biosfera e per sublimazione della criosfera.

2) Apporto o sottrazione di vapore acqueo a causa dei movimenti delle masse di aria che, a seconda della loro natura ed origine, possono essere più o meno ricche di umidità.

3) Sottrazione di vapore acqueo in atmosfera per effetto delle precipitazioni piovose, nevose, grandine, della brina e la rugiada.

In pratica sulla scala di tempo della Meteorologia tutti e tre i termini debbono essere considerati: se al contrario si considerano scale di tempo dell'ordine dell'anno, il secondo termine si annulla ed il bilancio idrico si ottiene semplicemente dalla differenza tra evaporazione e precipitazione.


In un anno circa 7 miliardi di miliardi di litri di acqua evaporano verso l'atmosfera.

Acqua

L'acqua è un liquido, a temperatura e pressione standard. La sua molecola si compone di un atomo di ossigeno cui sono legati due atomi di idrogeno; la sua formula chimica è pertanto H2O.

Le forme fisiche dell'acqua

L'acqua assume molte forme in natura. Allo stato solido è nota come ghiaccio, allo stato gassoso è nota come vapore acqueo. Sono note anche altre due forme solide, quella del ghiaccio vetroso e quella del solido amorfo, non cristallino, simile al vetro. Al di sopra di certi valori di temperatura e pressione (detti critici), che per l'acqua sono 647 K e 22,064 × 106 Pa, l'acqua entra in uno stato detto supercritico, in cui aggregati di acqua allo stato simil-liquido fluiscono dentro una fase di simil-vapore.

L'acqua pesante è acqua in cui gli atomi di idrogeno sono stati sostituiti dal deuterio, il suo isotopo avente peso atomico 2 amu. Il suo comportamento chimico è sostanzialmente uguale a quello dell'acqua; trova applicazione come mezzo per rallentare i neutroni emessi dalla fissione nucleare.

Le proprietà dell'acqua.

A differenza della maggior parte delle altre sostanze, per le quali la forma solida è più densa di quella liquida, il ghiaccio è meno denso dell'acqua liquida. La densità dell'acqua è infatti massima a 4°C. Questa insolita espansione dell'acqua a basse temperature costituisce un vantaggio importante per tutte le creature che vivono in ambienti di acqua dolce d'inverno. L'acqua, raffreddandosi in superficie, aumenta di densità e scende verso il fondo innescando correnti convettive che raffreddano uniformemente l'intero bacino. Quando la temperatura in superficie scende sotto i 4°C questo processo si arresta; l'acqua più fredda rimane in superficie, dove forma poi, con un ulteriore calo della temperatura, uno strato di ghiaccio.

La situazione nelle acque marine è in qualche modo diversa. Il sale contenuto nell'acqua abbassa sia il punto di congelamento dell'acqua di circa 2°C ed abbassa la temperatura cui l'acqua raggiunge la sua massima densità fino a circa 0°C. Quindi, nelle acque oceaniche i moti convettivi che portano verso il fondo l'acqua più fredda non sono bloccati dalla differenza di densità come nelle acque dolci. Le creature che vivono sul fondo degli oceani artici sono adattate a vivere a temperature prossime a 0°C. Alla normale salinità dell'acqua di mare l'acqua congela a circa -1,9°C; il ghiaccio che si forma è sostanzialmente privo di sale ed ha densità paragonabile a quella del ghiaccio di acqua dolce. Questo ghiaccio galleggia sulla superficie, mentre il sale che ne è stato "espulso" va ad aumentare salinità e densità dell'acqua vicina, la quale scende per convezione verso il fondo.

Le condizioni di temperatura e pressione in cui le fasi solida, liquida e gassosa di una sostanza esistono contemporaneamente in equilibrio tra loro è detta punto triplo. Per l'acqua il punto triplo viene usato come riferimento di temperatura, avendo fissato per convenzione che questi è a 273,16 K (ossia 0,01 °C); la pressione al punto triplo dell'acqua è di 611,2 Pa, valore molto basso, se si considera che al livello del mare la pressione atmosferica vale mediamente 101.300 Pa. Chimicamente l'acqua è un buon solvente. Le proprietà solventi dell'acqua sono essenziali per gli esseri viventi, dato che consentono lo svolgersi delle complesse reazioni chimiche che costituiscono le basi della vita stessa.

L'acqua possiede un'elevata tensione superficiale, osservabile tramite la formazione di gocce, proprietà anch'essa importante per la vita. Un esempio è il trasporto dell'acqua negli xilemi degli steli delle piante; la tensione superficiale mantiene la colonna d'acqua unita e forze adesive mantengono l'acqua aderente allo xilema. Colonne altrettanto alte e sottili di liquidi meno coesi e meno aderenti andrebbero a spezzarsi formando sacche d'aria o di vapore, rendendo inefficiente fino all'impossibilità il trasporto del liquido attraverso lo xilema.

L'acqua pura è un buon isolante elettrico (cioè un cattivo conduttore). Ma, essendo anche un buon solvente, spesso reca in sé tracce di sali disciolti in essa, che, con i loro ioni la rendono un buon conduttore di elettricità.

Tramite un processo chiamato elettrolisi, l'acqua può essere scomposta nei suoi componenti elementari, l'idrogeno e l'ossigeno. L'acqua è infatti parzialmente dissociata in ioni H+ e OH-, che migrano verso i due poli della cella elettrolitica dove avvengono le seguenti reazioni:

anodo (+) : 4 OH- --> O2 + 2 H2O + 4 e catodo (-) : 2 H+ + 2 e- --> H2

ossigeno e idrogeno formano bolle di gas sulla superficie degli elettrodi, da cui possono essere raccolti. In teoria il pH dell'acqua pura è 7. In pratica, date le sue buone capacità solventi, l'acqua pura è difficile da produrre. Per semplice esposizione all'aria, l'acqua ne dissolve l'anidride carbonica formando una soluzione molto diluita di acido carbonico che può arrivare fino ad un valore di pH di 5,7. Similmente si comportano le gocce di pioggia, che quindi hanno sempre una minima acidità. La presenza di ossidi di zolfo o di azoto nell'atmosfera, tramite la loro dissoluzione nelle gocce di pioggia, porta a piogge acide aventi valori di pH ben inferiori (3,5 - 2,5) i cui effetti sull'ambiente sono ben più seri.

La natura dipolare dell'acqua

Una importante caratteristica dell'acqua è il suo essere una molecola polare. La molecola dell'acqua forma un angolo di circa 105° con l'atomo di ossigeno al vertice e i due atomi di idrogeno alle due estremità. Dato che l'ossigeno ha una  elettronegatività maggiore, il vertice della molecola ospita una parziale carica elettrica negativa, mentre le estremità recano una parziale carica elettrica positiva. Una molecola che presenta questo squilibrio di cariche elettriche è detta essere un dipolo elettrico. Le cariche fanno sì che le molecole vengano attratte reciprocamente l'una all'altra. Questa attrazione nell'acqua è particolarmente intensa, prende il nome di legame idrogeno e spiega molte delle proprietà fisiche tipiche dell'acqua. Benché il legame idrogeno sia molto più debole dei legami covalenti interni alla molecola stessa, questi è responsabile di molte delle proprietà fisiche dell'acqua. Due di esse sono i relativamente alti punto di fusione e punto di ebollizione, è infatti richiesta una maggiore energia (rispetto a sostanze meno polari) per rompere i legami idrogeno che tengono unite le molecole le une alle altre. L'acido solforico, H2S, simile per geometria ma incapace di formare legami idrogeno, è un gas a temperatura ambiente pur avendo un peso molecolare quasi doppio rispetto all'acqua. Sempre al legame idrogeno è da attribuire l'elevata capacità termica specifica. Il legame idrogeno spiega anche l'insolito comportamento dell'acqua quando questa congela. A causa sua ,quando la temperatura si abbassa fino al punto di congelamento, le molecole di acqua si organizzano nella struttura cristallina dalla simmetria esagonale tipica del ghiaccio che risulta essere meno densa dell'acqua liquida.
Il fatto che il ghiaccio sia meno denso dell'acqua liquida porta con sé una curiosa conseguenza: il ghiaccio può essere fuso anche tramite l'applicazione di una adeguata pressione. Tale pressione risulta essere piuttosto elevata, si pensi per confronto che la pressione esercitata da un pattinatore abbassa il punto di fusione del ghiaccio su cui si trova di circa 0,09°C.

L'acqua come solvente

La sua polarità rende l'acqua anche un buon solvente. Quando un composto ionico o polare viene messo in acqua, viene circondato dalle molecole di acqua le quali, per via delle loro piccole dimensioni, si inseriscono tra uno ione e l'altro o tra una molecola e l'altra di soluto orientandosi in modo da presentare ad ogni ione (o estremità polare) del soluto la parte di sé che reca la carica opposta; questo indebolisce l'attrazione tra gli ioni (o tra le molecole polari) e rompe la struttura cristallina. Ogni ione (o ogni molecola polare) si ritrova quindi solvatato, cioè circondato completamente da molecole d'acqua.
Un esempio di soluto ionico è il comune sale da cucina (cloruro di sodio), un esempio di soluto molecolare polare è lo zucchero.
In generale, le sostanze ioniche polari, quali acidi, alcoli e sali sono abbastanza solubili in acqua, mentre non lo sono le sostanze non polari, quali grassi ed oli. Le molecole non polari non si miscelano all'acqua perché per quest'ultima è energeticamente favorito il formare legami a idrogeno al suo interno, piuttosto che formare legami di Van der Waals con molecole non polari.

La natura anfotera dell'acqua

Chimicamente, l'acqua è un anfotero, cioè un composto capace di comportarsi sia da acido che da base. A pH7 (neutralità) la concentrazione di ioni idrossido OH- è uguale a quella di ioni idrogeno H+ (o idronio H3O+). Quando questo equilibrio viene alterato, la soluzione diventa acida (maggiore concentrazione di ioni idrogeno) o basica (maggiore concentrazione di ioni idrossido).
Secondo la teoria di Bronsted-Lowry, un acido è una specie chimica capace di donare uno ione H+ ed una base è una specie chimica capace di addizionarlo a sé. In presenza di un acido più forte di lei, l'acqua si comporta da base, in presenza di un acido più debole di lei, l'acqua si comporta da acido.

Nomenclatura sistematica

Il nome sistematico dell'acqua dovrebbe essere diidrogeno monossido, oppure idrossido di idrogeno o acido ossidrilico se se ne vuole enfatizzare il comportamento basico o acido. Tali nomi però non sono mai entrati in uso, se non in parodie del linguaggio dei chimici o in scherzi.


Ghiaccio
È il nome comune usato per designare l'acqua allo stato solido. A pressione atmosferica standard la transizione di fase avviene quando l'acqua liquida viene raffreddata sotto gli 0°C (273,15°K, 32°F). Il ghiaccio può formarsi a temperature superiori in ambienti pressurizzati, e l'acqua può rimanere allo stato liquido o gassoso fino a -30 °C, a pressioni più basse. Il ghiaccio formato a pressioni più alte ha una struttura cristallina differente da quella del ghiaccio ordinario. Ghiaccio, acqua e vapore acqueo possono coesistere al punto triplo, che per questo sistema è posto alla temperatura di 273,16° K e alla pressione di 611,73 Pa. Il punto triplo è determinato dai valori di temperatura e pressione a cui coesistono le fasi solida, liquida e aeriforme di una sostanza. Questi valori dipendono solamente dalla sostanza in questione e possono essere determinati con notevole precisione. Il punto triplo di varie sostanze è dunque utile per la calibrazione di strumenti di misura.
Una caratteristica insolita del ghiaccio congelato alla pressione di 1 atmosfera è che ha una densità che è circa dell'8% inferiore a quella dell'acqua . Il ghiaccio ha una densità di 0,917 g/cm³ alla temperatura di 0 °C, mentre l'acqua ha una densità di 0,9998 g/cm³. L'acqua diventa meno densa quando le sue molecole iniziano a formare cristalli esagonali di ghiaccio. Ciò è dovuto ai legami che si formano tra le molecole d'acqua per mezzo degli atomi di idrogeno, che le allineano in maniera meno efficiente in termini di volume, durante il congelamento. Il risultato di ciò e che il ghiaccio galleggia sull'acqua.

Vapore acqueo
L'acqua allo stato di vapore o gassoso è uno dei componenti dell'atmosfera terrestre. È invisibile essendo inodore, incolore e trasparente. Quando il vapore acqueo si raccoglie in gran quantità e si mescola a polveri, gas, pollini o residui della combustione, diventa allora meno trasparente dando luogo al fenomeno della foschia o della caligine.
La tecnologia del vapore è stata sviluppata dal secolo XVII ed ha ricevuto applicazione effettiva nella seconda metà del secolo XVIII, ad opera soprattutto di scienziati ed ingegneri inglesi e francesi, tra cui si devono citare Denis Papin e James Watt. Il vapore d'acqua si ottiene industrialmente mediante evaporizione per ebollizione dell'acqua in apposite apparecchiature dette caldaie.
Caratteristica fondamentale del vapore d'acqua è la capacità di trasporto di calore : alla pressione di 10 bar (1000 kPa) un chilo di vapore richiede 2013.6 kJ per cambiare di stato, e rende 2013.6 kJ condensando. Considerando che la temperatura di ebollizione a 10 bar è di 179.8 °C, e che quindi raffreddando da 179.8 a 0°C 1 kg d'acqua si ottengono poco meno di 750 kJ, è evidente che trasporto 4 volte più energia usando vapore di quanta ne trasporti l'acqua.

Pioggia
La pioggia è una forma di precipitazione atmosferica. La pioggia si forma quando gocce separate di acqua cadono al suolo da delle nuvole. Non tutta la pioggia che cade dalle nuvole raggiunge comunque la superficie: una certa quantità evapora nell'aria mentre cade attraverso aria secca, un tipo di precipitazione chiamato virga.
Una virga è un tipo di precipitazione che cade da una nube ma evapora prima di cadere a terra. Le virghe possono causare fenomeni atmosferici interessanti, perché quando la pioggia passa dallo stato liquido a quello gassoso sottrae un una grande quantità di calore all'aria e quindi la raffredda parecchio. Queste piccole porzioni d'aria molto fredda scendono rapidamente creando piccole trombe d'aria. Virghe particolarmente consistenti si possono osservare mentre scendono dai monti durante le precipitazioni nevose e assumono l'aspetto di nuvole attaccate alla parete del monte.
La pioggia gioca un ruolo importantissimo nel ciclo dell'acqua, nel quale il liquido che evapora dagli oceani si condensa nelle nuvole e cade di nuovo a terra per poi ritornare negli oceani e ripetere di nuovo il ciclo.
L'ammontare della pioggia caduta si misura in millimetri: una precipitazione di 1 mm equivale a dire che su una qualunque superficie si è depositata una quantità di acqua uniformemente alta 1 mm. La misura è indipendente dalla grandezza della superficie considerata ed è pari a 1 litro su metro quadrato. Le gocce di pioggia sono spesso descritte come a "forma di lacrima", tonde sul fondo e più strette verso la cima, ma questo è scorretto perchè le gocce di pioggia piccole sono quasi sferiche. Le gocce più grandi sono molto appiattite a forma di panino, quelle più grandi ancora sono a forma di paracadute. Le gocce di pioggia che risultano dallo scioglimento di un fiocco di neve sono grandi e formano una rosa di gocce più piccole quando arrivano al suolo.
Generalmente la pioggia ha un pH leggermente inferiore a 6, semplicemente per l'assorbimento di anidride carbonica che si dissocia nelle goccioline per formare quantità minime di acido carbonico. In alcune aree desertiche, il pulviscolo atmosferico contiene tanto bicarbonato di calcio da bilanciare la naturale acidità della precipitazione e quindi la pioggia può essere neutra o addirittura alcalina. La pioggia con un pH sotto 5,6 è considerata pioggia acida.
Le precipitazioni piovose si possono classificare nel modo seguente:
Forma della precipitazione Quantità (mm/h) Diametro delle gocce (mm) Velocità di caduta (m/sec)
Pioviggine 1 0,5 2
Pioggia debole fino a 2 0,5 2
Pioggia moderata da 2 a 6 1 4
Pioggia forte da 6 a 10 1,5 5
Rovescio da 10 a 15 1,5 5
Pioggia intensa 15 1,5 5
Pioggia torrenziale 40 2 6
Nubifragio 60
40 mm in ½ h
70 mm in 2 h
80 mm in 3 h
3 8

 

Dal punto di vista meteorologico, perché si possa parlare di pioggia eccezionale in Italia (l'uso di questo aggettivo è spesso inflazionato ed usato a sproposito), devono cadere almeno 50 mm di pioggia in un'ora oppure 110 mm in 24 ore. Queste soglie secondo calcoli statistici corrispondono a tempi di ritorno (probabilità di ricorrenza) di 20 anni, il che significa più semplicemente, che piogge di questa portata si verificano in una certa località in media una volta ogni 20 anni.
La primavera italiana è una stagione con spiccate caratteristiche di variabilità che alterna giornate calde ed assolate a occasioni per rovesci temporaleschi anche di forte intensità e copiosità.
L'estate non significa sempre siccità in quanto alcune infiltrazioni di aria fredda in quota possono creare condizioni di forte instabilità atmosferica e dar luogo a temporali, anche di forte intensità, specie sulle Alpi orientali dove si registra il massimo annuale delle precipitazioni e si verificano le piene dei torrenti di alta montagna.
L'autunno è la stagione più piovosa per le regioni del Nord e del centro Italia. Le depressioni mediterranee o quelle di origine atlantica dispongono sulla Penisola italiana correnti meridionali umide che scaricano a terra un ingente quantitativo di pioggia in grado, a volte, di far ingrossare i corsi di acqua prealpini ed appenninici e provocare le grandi alluvioni dei fiumi di pianura.
L'inverno è il periodo più piovoso per le estreme regioni meridionali italiane a causa dell'interferenza che le depressioni africane hanno con le correnti fredde di origine balcanica, nord europea o nord atlantica. Anche in questo caso gli ingenti quantitativi di pioggia che possono cadere al suolo sono in grado creare situazioni alluvionali in questa stagione.


La fase iniziale del temporale è sempre quella più violenta dopodiché l’aria rovesciata al suolo dalle precipitazioni raffredda i bassi strati rendendo meno accesi i contrasti termici in virtù dei quali la cella temporalesca inizia a collassate.

Le precipitazioni grandigene sono più frequenti quando, nei mesi estivi, lo zero termico è abbastanza basso e cioè attorno ai 2500 metri di altitudine. In questo caso una porzione maggiore della nube si troverà in ambiente sotto zero e le goccioline sopraffuse potranno essere catturate con facilità dell’embrione del chicco di grandine in formazione.

Al contrario quando lo zero termico supera i 3000-3500 metri di quota, le nubi temporalesche che si formano possono apportare rovesci di pioggia anche molto intensi, ma la probabilità di grandine è inferiore.

Grandine
All'interno di un cumulonembo, nello strato di nube in cui la temperatura è compresa fra 0°C e -10°C, coesistono cristallini di ghiaccio e goccioline d'acqua sopraffuse, cioè rimaste allo stato liquido malgrado la temperatura dell'aria è negativa.
In queste condizioni particolari i cristalli di ghiaccio tendono ad accrescersi per processi di sublimazione (passaggio dallo stato di vapor acqueo a quello di ghiaccio) a spese delle goccioline di acqua che tendono invece ad evaporare.

Questi piccolissimi granuli di ghiaccio, mantenuti all'interno della nube temporalesca da imponenti correnti ascendenti (updrafts), collidono con le goccioline sopraffuse accrescendo ulteriormente le proprie dimensioni.
Se i moti convettivi sono deboli, i granuli di ghiaccio, una volta raggiunto l'apice della nube, dove le correnti ascendenti divergono, precipiteranno verso il suolo attraversando strati d'aria con temperatura relativamente elevata e raggiungeranno il terreno sotto forma di pioggia; se invece le correnti ascendenti (updrafts) sono intense, le particelle resteranno a lungo all'interno della nube e gli intensi moti vorticosi in essa presenti, per molte volte ancora, li trasporteranno in alto, poi in basso e ancora verso l'alto, consentendo, ad ogni ciclo, la formazione di un nuovo rivestimento di ghiaccio.
Quando i chicchi di grandine saranno diventati tanto pesanti da non poter essere più sorretti dalle correnti ascendenti, precipiteranno violentemente verso il suolo con le conseguenze che tutti conoscono.
Come è possibile risalire all'età di una pianta contando gli anelli del tronco, è possibile risalire al numero di cicli che il granello è riuscito ad effettuare all'interno della nube contando i gusci concentrici di cui è formato. Se ne possono trovare anche più di una ventina.
In questa caratteristica "stratificazione a cipolla" si alternano strati di ghiaccio opaco (biancastro) a strati di ghiaccio trasparente; questi ultimi si formano nella zona della nube in cui sono presenti i moti ascendenti, dove cioè la quantità di goccioline sopraffuse è elevata, mentre gli strati biancastri, cioè ricchi di bolle d'aria, si formano nella regione in cui il chicco cade, cioè dove il contenuto d'acqua è meno abbondante.
    
Le forti correnti ascensionali (updrafts) creano un’area senza pioggia (rain free), anche detta WER che significa “regione dell'eco debole”, e tengono in sospensione la grandine alla sommità della rain free.
1. L’embrione del chicco di grandine viene sollevato dalla corrente ascensionale e collidendo con le gocce di pioggia sopraffusa (supercooler), che gli si ghiacciano attorno, comincia a crescere di dimensioni.
2. Qualche chicco di grandine è soffiato fuori dall’updraft principale e ricade in direzione del suolo.
3. Se la corrente ascensionale (updraft) è abbastanza forte riuscirà a far risalire il chicco di grandine che collidendo ancora una volta con le gocce di pioggia sopraffusa crescerà di volume. Questo processo si ripete molte volte.
4. Quando le correnti ascensionali (updraft) non riescono più a sostenerlo, il chicco di grandine cade verso il suolo e la sua dimensione dipenderà dall’intensità della corrente ascensionale. Le correnti ascensionali molto forti riescono a tenere in sospensione per più tempo il chicco di grandine che di conseguenza raggiungerà dimensioni maggiori.
Dimensioni e durata.
Un rovescio di grandine ha una durata media compresa fra 5 e 10 minuti e i chicchi hanno dimensioni che vanno generalmente da 1 a 3 cm anche se il loro diametro può tranquillamente essere superiore.
I chicchi di grandine giungono a terra secondo una traiettoria dettata dalle forti correnti discensionali che dall’interno della cella temporalesca cadono verso il basso (outflow) ed è per questo motivo che si determinano notevoli differenze di intensità anche in un raggio inferiore ai 100-200 metri.
Normalmente i chicchi di grandine cadono a terra nella fase iniziale dello stadio di maturità di un temporale, ma non è da escludere una grandinata nella sua fase terminale se è in atto un processo di rinvigorimento ad opera di nuove celle temporalesche.
Nella stragrande maggioranza dei casi la grandine cade mista a pioggia tuttavia può accadere che si presenti, almeno in una prima fase, a carattere secco.
Le situazioni potenzialmente favorevoli alla formazione ed alla caduta della grandine sono:
1. Linee temporalesche di origine frontale.
Sono da attribuirsi perlopiù al passaggio di fronti freddi od occlusioni fredde provenienti dai quadranti occidentali o settentrionali dopo un periodo di caldo relativamente intenso.
2. Linee temporalesche di origine pre-frontale.
Questi tipi di temporale sono molto violenti, non molto frequenti e si sviluppano nel settore caldo di un sistema frontale e si muovono generalmente da Ovest-Sud Ovest verso Est -Nord Est. La loro formazione presuppone: la presenza di aria estremamente calda nei bassi strati, aria fredda preesistente in quota (soprattutto fra 850 e 500 hPa) e la spinta in linea orizzontale da parte di un fronte freddo in avanzamento.
Queste linee temporalesche precedono il fronte freddo di circa 200-400 km e si sviluppano con maggior frequenza nelle ore pomeridiane. La fascia oraria più a rischio è quella compresa fra le 16,00 e le 19,00 con un secondo picco dalle ore 22,00 alle ore 0,00. La fascia oraria meno a rischio è quella, dalle ore 04,00 alle ore 8,00 in cui si hanno normalmente i valori termici giornalieri più bassi e quindi un minore gradiente termico verticale.
3. Temporali da goccia fredda in quota.
Questi tipi di temporale sono generalmente meno intensi dei precedenti ma si possono verificare per più giorni consecutivi. Assumono una struttura a grappolo ed anch’essi si sviluppano con maggior frequenza nella fascia oraria pomeridiana o serale.

La scala Torro fu introdotta nel 1986 da Jonhatan Webb di Oxford, Oxfordshire (UK) ed ha come riferimento i danni a cose o persone causati dalla grandine.

Intensità Descrizione dei danni Code
H0 Chicchi della dimensione di un pisello, nessun danno 1
H1 Cadono le foglie ed i petali vengono asportati dai fiori 1-3
H2 Foglie strappate, frutta e verdura in genere graffiata o con piccoli fori 1-4
H3 Alcune segni sui vetri delle case, lampioni danneggiati, il legno degli alberi inciso. Vernice dei bordi delle finestre graffiata, piccoli segni sulla carrozzeria delle auto e piccoli buchi sulle tegole più leggere 2-5
H4 Vetri rotti (case e veicoli) pezzi di tegole cadute, vernice asportata dai muri e dai veicoli, carrozzeria leggera visibilmente danneggiata, piccoli rami tagliati, piccoli uccelli uccisi, suolo segnato 3-6
H5 Tetti danneggiati, tegole rotte, finestre divelte, lastre di vetro rotte, carrozzeria visibilmente danneggiata, lo stesso per la carrozzeria di aerei leggeri. Ferite mortali a piccoli animali. Danni ingenti ai tronchi degli alberi ed ai lavori in legno. 4-7
H6 Molti tetti danneggiati, tegole rotte, mattonelle non di cemento seriamente danneggiate. Metalli leggeri scalfiti o bucati, mattoni di pietra dura leggermente incisi ed infissi di finestre di legno divelte 5-8
H7 Tutti i tipi di tetti, eccetto quelli in cemento, divelti o danneggiati. Coperture in metallo segnate come anche mattoni e pietre murali. Infissi divelti, carrozzerie di automobili e di aerei leggeri irreparabilmente danneggiate 6-9
H8 Mattoni di cemento anche spaccati. Lastre di metallo irreparabilmente danneggiate. Pavimenti segnati. Aerei commerciali seriamente danneggiati. Piccoli alberi abbattuti. Rischio di seri danni alle persone 7-10
H9 Muri di cemento segnati. Tegole di cemento rotte. Le mura di legno delle case bucate. Grandi alberi spezzati e ferite mortali alle persone 8-10
H10 Case di legno distrutte. Case di mattoni seriamente danneggiate ed ancora ferite mortali per le persone 9-10

La tabella che segue è inversa infatti parte dal code per arrivare all'intensità confrontando il diametro dei chicchi di grandine (espresso in millimetri) con oggetti conosciuti.

Codice Diametro Riferimento Intensità
1 10-15 Piselli H0-H2
2 11-15 Fagiolo - nocciole H0-H3
3 16-20 Piccoli chicchi di uva, ciliege e piccole bilie H1-H4
4 21-30 Grossi chicchi di uva, grosse bilie e noci H2-H5
5 31-45 Castagne, piccole uova, palla da golf, da ping-pong e da squash H3-H6
6 46-60 Uova di gallina, piccole pesche, piccole mele, palle da biliardo H4-H7
7 61-80 Grosse pesche, grosse mele, uova di struzzo, piccole e medie arance, palle da tennis, da cricket e da baseball H5-H8
8 81-100 Grosse arance, pompelmi e palle da softball H6-H9
9 101-125 Meloni H7-H10
10 oltre Noci di cocco e simili H8-H10

 

Difesa contro la grandine.

I danni che una grandinata può causare a cose o persone sono proporzionati alla dimensione del chicco, alla velocità di caduta del chicco, alla durezza del chicco, alla forma del chicco ed all’orientamento della traiettoria di caduta del chicco. Chicchi di grandine di dimensioni considerevoli possono causare minori danni se la loro velocità di caduta è frenata da forti correnti ascensionali. Al contrario chicchi di grandine di dimensioni inferiori possono causare danni maggiori se la loro velocità di caduta è aumentata da forti correnti discensionali oppure da un evento tornadico.

Le reti antigrandine sembrano essere l’unico mezzo per evitare i danni da grandine in quanto le altre sperimentazioni hanno dato risultati scadenti se non addirittura nulli.

La frantumazione del chicco mediante onde sonore prodotte al suolo da cannoni detonanti si è rilevata del tutto inefficace tenuto conto dell'immane energia che si sviluppa all'interno dei cumulonembi. Infatti l'onda di pressione generata dall'esplosione del cannone è valutabile in circa 3-4 millibar a 50 metri dal cannone stesso, in 1,5 mb a 100 m, in 0,13 mb a 1000 m, ed in 0,033 mb a 4000 m (nemmeno uno schiocco di dita). Sono pressioni che si rivelano assolutamente insufficienti sia per influenzare la dinamica del cumulonembo sia per causare un effetto di cavitazione, ovvero una sorta di microperforazione del nucleo centrale del chicco per procurare una rottura anticipata durante la caduta mediante "spaccatura" per mancata coesione tra le pareti delle pellicole a crescita secca e crescita bagnata.

Lo sfaldamento del chicco per mezzo di un’esplosione provocata da razzi lanciati ad un’altitudine di circa 2000-2500 metri si è rilevata un fallimento in quanto la quota a cui avviene l’esplosione è troppo bassa rispetto a quella in cui vi è il maggior volume di grandine e cioè 4500-6000 metri. Ovviamente nel corso della loro caduta i chicchi transiteranno anche per zone più basse all'interno della nube ma, vista l’elevata velocità di caduta raggiunta dai chicchi e la pressione insufficiente provocata dallo scoppio, l’onda d’urto non ne provoca lo sfaldamento.

L'unica strada percorribile sembrava poter essere quella della nucleazione artificiale forzata, utilizzando lo ioduro d’argento, in modo che si formasse un numero superiore di chicchi di grandine ma con dimensioni più ridotte. Anche questo tentativo ha dato risultati scarsi su celle temporalesche di moderata estensione ed intensità e risultati nulli su supercelle o celle temporalesche di grande estensione ed intensità.


Neve

La neve è costituita da cristalli di ghiaccio che si agglomerano all’interno della nube quando la temperatura è inferiore agli 0°C. I cristalli di ghiaccio assumono molteplici forme, in base alla temperatura e all’umidità della massa d’aria circostante, anche se la loro base di formazione è una caratteristica struttura stellata a sei punte. Nel diciottesimo secolo A. Bentley con fotografie riprese al microscopio catalogò migliaia di cristalli con forme diverse fra loro.
A prescindere dalla molteplice varietà delle sue forme, la dimensione di un cristallo di neve è compresa fra 0,4 e 0,8 micron e si forma all’interno di nubi stratificate, quando la temperatura è compresa fra -20°C e -40°C, attorno ai nuclei di condensazione.
Successivamente, visto che l’aria nella nube è soprassatura, il vapore acqueo condensa sui cristalli di ghiaccio andando ad aumentarne la dimensione. Le goccioline d’acqua presenti nella nube evaporando, nel tentativo di ristabilire l’equilibrio termico, assicurano una continua fonte di vapore acqueo che contribuirà all’ulteriore crescita delle dimensioni dei cristalli di ghiaccio. I cristalli di ghiaccio sono relativamente pesanti e tendono a cadere ad una velocità di circa 50 cm/sec aumentando spesso di volume durante la discesa verso il suolo. Se durante la loro corsa verso il basso incontrano aria secca possono evaporare, se la temperatura nei pressi del suolo è superiore agli 0°C si sciolgono in pioggia, mentre quando raggiungono il suolo intatti sono chiamati neve. In base alla tipologia della massa d’aria presente, sia in quota che a livello del suolo, si possono avere diverse forme di cristalli e cioè:

cristalli ad ago la cui formazione richiede aria umida.

cristalli a piastra la cui formazione è lenta in presenza di una massa di aria secca e rapida quando la massa di aria è umida.

cristalli a colonna la cui formazione richiede la presenza di una massa di aria secca.

cristalli stella la cui formazione richiede sempre la presenza di una massa di aria umida.

I cristalli di ghiaccio sono il risultato di complesse sequenze di evaporazione, condensazione e deposizione che avvengono nel microambiente attorno a ciascun di loro. La neve però cade sotto forma di fiocchi compositi da cristalli singoli che, perdendo di quota diventano umidi, collidono e quindi ricongelano assieme non appena incontrano una massa di aria con temperatura inferiore agli 0°C.

L’unione fra i cristalli avviene quando la massa d’aria che li contiene ha una temperatura relativamente alta e cioè attorno agli 0°C, mentre con temperature molto basse l’aggregazione non avviene in quanto la superficie dei singoli cristalli è asciutta e non ne permette la “fusione”.

I fiocchi più grandi, aventi fino a 6 centimetri di diametro e composti di centinaia di cristalli singoli, si formano con temperature comprese fra gli 0°C e i +2°C, ma se la temperatura dovesse salire anche di pochi decimi di grado i fiocchi si sciolgono dando origine a pioggia o a neve parzialmente sciolta detta acquaneve.

Le nevicate più intense avvengono quando la temperatura è prossima agli 0°C ed un suo lievissimo aumento provoca la caduta di pioggia anche intensa. E’ per questo motivo che la previsione di una precipitazione nevosa, soprattutto sulle zone pianeggianti, è molto difficoltosa.

Se si esclude il fattore della temperatura i presupposti che occorrono perché possa cadere la neve sono gli stessi che servono perché cada la pioggia e cioè: presenza di una massa d’aria al suolo relativamente più calda ed umida di quella circostante ed un “motore” che ne innesca un movimento ascensionale.

Il manto nevoso riveste una particolare importanza dal punto di vista climatico perché grazie al forte albedo favorisce la dispersione dell'energia solare e contribuisce in tal modo alla formazione di anticicloni termici che caratterizzano il clima continentale freddo e secco di alcune zone del pianeta in cui il manto nevoso ricopre il suolo per molto tempo.

La nevosità media si ottiene sommando la quantità di neve accumulata al suolo e dividendola per il numero degli anni presi in considerazione. Il periodo di osservazione deve essere abbastanza lungo perché possa avere validità e non deve essere inferiore ad un ventennio. La misura in altezza del manto nevoso deve essere eseguita in un punto: su un suolo orizzontale ricoperto da manto erboso, distante almeno 10 metri da edifici, alberi, muri, strade o di qualsiasi altro oggetto che ne possa modificare, in difetto o in eccesso, l’accumulo. E' buona norma effettuare almeno 3 misurazioni e farne la media aritmetica.

Il numero di giorni con precipitazioni nevose è la somma dei giorni, nell’arco di un anno solare, in cui si è avuto un accumulo al suolo pari o superiore ad un 1 cm di neve (1 pollice nei paesi di tradizione anglosassone).

La durata del manto nevoso rappresenta il numero di giorni in cui il suolo rimane coperto di neve.

Il coefficente nivometrico è il rapporto percentuale tra le precipitazioni nevose e le precipitazioni totali cadute al suolo nell’arco di un anno.

L'intensità di una precipitazione nevosa si misura in cm/h e si ha che per una precipitazione di debole intensità. L’accumulo al suolo deve essere di almeno 0,5 cm/h. In una precipitazione di media intensità l’accumulo al suolo deve essere di almeno 1 cm/h. In una precipitazione intensa l’accumulo al suolo deve essere di almeno 2,5 cm/h.

Distribuzione delle precipitazioni nevose in Valpadana

La nevosità media annua è più alta sul settore occidentale della pianura Padana dove il clima è più spiccatamente continentale e l'orografia favorisce maggiormente il ristagno di aria fredda al suolo anche quando in quota affluisce aria umida apportatrice di precipitazioni. Il settore orientale della Pianura padana risulta invece meno nevoso sia per l’influenza mitigatrice del Mare Adriatico, sia per la maggior esposizione della regione ai caldi venti di Scirocco. La durata del manto nevoso in Valpadana dipende: dalla nevosità media annua, dal regime termico, dalla frequenza e persistenza delle nebbie che ostacolano il soleggiamento e dall'influenza dei mari e dei grandi bacini lacustri.
La durata del manto nevoso inferiore a 10 giorni all'anno si riscontra lungo la costa adriatica, su gran parte della pianura lombardo-veneta ed a sud del lago di Garda.

La durata del manto nevoso superiore a 25 giorni all'anno si verifica lungo la fascia di territorio che dal Piemonte si estende fino alle zone pedemontane dell'Emilia.

Situazioni meteorologiche favorevoli alle precipitazioni nevose sulla Valpadana.

Il versante italiano delle Alpi è interessato da fenomeni nevosi importanti in presenza di correnti caldo-umide provenienti dai quadranti meridionali che vengono sollevate per effetto orografico. Le circolazioni depressionarie che nascono o si centrano sul Golfo di Genova hanno confluenza attiva di aria fredda da Nord Est e di aria calda da Sud e possono determinare intense nevicate sui rilievi alpini e sull'Appennino settentrionale.

Le due situazioni precedentemente prospettate possono portare nevicate anche sulla Pianura Padana solo se si verificano contemporaneamente ad alcune specifiche condizioni termiche al suolo ed in quota. Sul settore centro occidentale della Pianura Padana si verificano nevicate di rilievo quando aria calda e umida, sospinta da una depressione centrata sul mediterraneo occidentale, affluisce sopra un cuscino di aria fredda che ristagna nei bassi strati da diversi giorni. In presenza di questa situazione si avranno le precipitazioni nevose più copiose sulle zone pedemontane del Piemonte e della Lombardia mentre sulla bassa pianura, sull'Emilia e sul Triveneto pioverà, anche se la temperatura al suolo sarà prossima allo zero, in quanto l’elevata temperatura in quota non consentirà la formazione di neve.

Sul settore centro orientale della Pianura Padana si avranno le nevicate più abbondanti in presenza di una circolazione depressionaria posizionata sulle regioni centrali italiane che contemporaneamente farà affluire aria calda ed umida in quota e aria fredda al suolo. In presenza di questa situazione si avranno le precipitazioni nevose più copiose sulle zone pedemontane dell’Appennino emiliano romagnolo ed un po’ meno consistenti sulla bassa pianura lombardo veneta. Le zone di pianura più occidentali, essendo meno esposte ai venti freddi nord orientali, avranno temperature al suolo più elevate e quindi con buona probabilità pioverà. Le condizioni meteorologiche possono comunque evolvere in maniera totalmente diversa, anche opposta rispetto a quello detto in precedenza, se i centri di bassa pressione si disassano di qualche decina di chilometri. La previsione dei fenomeni nevosi è particolarmente difficile su una regione come quella padana circondata da importanti barriere orografiche, esposta all'influenza di masse d'aria di natura e provenienza molto diverse e soggetta nella stagione invernale a frequenti inversioni termiche.

L'inversione termica determina spesso temperature al suolo molto basse senza che le precipitazioni possano essere nevose in quanto negli strati superiori l'aria è più calda e può determinare la fusione della neve prima che raggiunga il suolo. Se lo strato dell’inversione termica è sufficientemente spesso la pioggia cadendo ricongela trasformandosi in gragnola. L'arco alpino può rappresentare, quando le perturbazioni frontali provengono dai quadranti settentrionali, una barriera invalicabile per le masse di aria che sono costrette a scavalcare l'ostacolo trasformandosi in venti di caduta con forte rialzo termico e cielo sereno sulla Pianura Padana.
Se la perturbazione è però più intensa o se si forma una depressione sottovento si avrà un'irruzione di aria fredda proveniente da Nord Est che potrà essere foriera di nevicate anche intense sulla pianura padana. La previsione di una nevicata sulla Pianura Padana risulta quindi essere molto difficoltosa in quanto è sufficiente un orientamento leggermente diverso, piuttosto che un’intensità minore da parte della perturbazione in arrivo, perché non cada neve o addirittura ci sia una giornata di sole splendente con temperature superiori alla norma.

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